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In morte di Steve Jobs

10/13/2011

Da giorni nell’home page di una delle maggiore aziende del pianeta campeggia un necrologio. Bianco e nero,  come si conviene ad un manifesto funebre, solo nome e anni di nascita e morte. Ricorda Steve Jobs, cofondatore e proprietario dell’azienda capace, anche nel ricordo post mortem, di lasciare il segno della sua personalità.  Perché la sua immagine ha da sempre una funzione  icastica per la Apple. Le prefiche di Cupertino terranno  in home page il necrologio del capo sino al trigesimo della morte, oppure porteranno il lutto per sei mesi sostituendolo progressivamente con una banda nera? Chissà, è interessante questo uso dell’immagine che è insieme necrologio e veicolo di promozione.

La scomparsa di personaggi noti scatena ormai da anni un corollario elegiaco da parte di amici o personalità più o meno importanti, insieme a manifestazioni di addio della gente comune che lascia fiori, messaggi e pupazzi nei luoghi ove si è consumata la vita o la morte della persona scomparsa. Con punte di paradosso raggiunte nel messaggio di cordoglio di SEL, poi rettificato da Nichi Vendola.

Con acutezza Alexander Stille nel suo blog paragona i messaggi lasciati davanti alla vetrina dell’Apple store di New York all’albero di Falcone. Da Lady Diana a Giovanni Paolo II, da Giovanni Falcone a Yara la morte diventa evento che suscita una condivisione (d’altra parte cos’altro sono le condoglianze, se non condivisione di un dolore?) che si manifesta nell’era della partecipazione attraverso il segno della testimonianza di sé. Più sottile il passaggio successivo di Stille che, con un misto di stupore e disagio, rileva:  Sembra emblematico di questo particolare momento storico piangere la morte di un creatore di bellissimi aggeggi consumistici come avremmo pianto la morte di un’importante figura politica nel passato.
Jobs è stato abilissimo imprenditore capace di indurre bisogni sino a quel momento sconosciuti ai consumatori attraverso prodotti frutto della sua creatività. I suoi aggeggi per Wu Ming sono diventati più che un emblema di consumismo, oggetto di un feticismo della merce digitale, che ignora lo sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche cinesi che assemblano gli Iphone/pad/pod caratterizzate da numerosi suicidi. Jobs come Marchionne per Wu Ming I che fa una contronarrazione di Steve Jobs attraverso la raccolta di aforismi ed epigrammi con hastag #steveworkers.

D’altra parte la biografia di Jobs è l’epitome stessa del mito americano: abbandonato dai suoi genitori naturali, un’americana ed un siriano conosciutisi al college, adottato da una coppia di modesta condizione, frequenta l’università solo per sei mesi per dedicarsi interamente alla sua passione, assemblando in un garage insieme ad amici i primi Macintosh. Un grande fiuto imprenditoriale che lo porta in pochi anni al successo ed una altrettanto grande capacità di ricominciare quando viene licenziato. Il tutto condito dall’aneddottistica sul suo pessimo carattere e le sue fissazioni.
Un creativo assoluto, un imprenditore spregiudicato. I suoi prodotti sono diventati in effetti dei bisogni indotti, non credo però così secondari. In questo senso mi paiono diversi dalle auto di Marchionne, prodotti figli di uno stile di vita ormai appartenente al secolo scorso e che oggi viene riproposto tal e quale, laddove la triade Iphone/pod/pad proietta verso dimensioni di un sistema di relazioni sociali ed umane completamente diverso, ridisegna e ripensa strutturalmente il bisogno primario dell’uomo rispetto alla comunicazione e quindi alla sua socializzazione.

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